il mare bianco

Da ieri è finalmente tornata una mia vecchia amica: la nebbia.
Le sono affezionata da quando uscivo per andare a scuola e per un attimo sognavo di perdermi in quel mare lattiginoso.
Non riesco a percepirla come triste e tetra, mi dà un grande senso di tranquillità.
Tutto il giorno mi sento alla mercé di stimoli visivi che lottano incessantemente per prendersi la mia attenzione. La nebbia riduce rumore visivo, nasconde e attenua restituendo un po’ di respiro alla mia mente.
è come un invito a concentrarsi sull’interno e a esplorare l’esterno con calma e gradualità.
Da me non ci sono irti colli e men che meno un mare che urla e biancheggia e la nebbia copre un paesaggio piatto e quieto.
è parte integrante di questo momento in cui accendo la luce di giorno e mi concentro a gettare le basi per tutti i miei piani a lungo termine, quelli che non richiedono grandi exploit, ma la pazienza e la costanza nel procedere.



Aprile 2020

Sono le 9 meno un quarto, mi rigiro nel letto e alle 9 dovrei essere operativa.
Mi chiedo se il virus mi abbia lasciata fallata. Le prime 2 ore di lavoro scorrono in pigiama, non mi piace, almeno durante il primo mese riuscivo a vestirmi. Ora non provo nemmeno a mettere il video in call, mi consuma i giga e si vedono le mie occhiaie.

Pranzo col TG per far finta che sia come quando tornata da scuola andavo a mangiare dai nonni.
Non credo più a nulla di ciò che viene comunicato.

Le 18;00, ecco che arriva il bollettino.
Sono appesa ogni giorno a questo momento, un brutto modo per darsi il ritmo.
Ho una buona capacità di autoanestetizzarmi stando appollaiata sul davanzale con i piedi sul tetto.
Non mi è mai piaciuto prendere il sole, eppure adesso cerco di assorbirne i raggi per almeno un’ora al giorno.

Tutto è lontano: amici, famiglia, ricordi.
Una volta regalavo abbracci, adesso ti dicono che grazie al virus impareremo a ridimensionare l’affetto e a decidere con criterio chi abbracciare.

La notte è più reale del giorno, persino quando mi scuso con un koala per gli incendi o quando vedo chi non c’è più.




Ezio

Non so se mi incantavi di più quando facevi musica o quando parlavi.

Ricordavi tutto perché avevi, come la chiamavi tu, “la maledizione fortunata” della memoria: una memoria eidetica.

Raccontavi che gli alberi sono le colonne che reggono il cielo.

Ogni volta caricavi l’ambiente attorno a te di un’energia speciale.

La tua bellezza si è manifestata in ogni attimo della tua vita.

Non hai mai rinunciato al tuo spessore, anche se quel corpo era diventato troppo dolorante, sai…la tua anima era il pianista perfetto,  ma ormai era ospitata da un corpo che era come un piano scordato.

Adesso puoi appoggiare le tue dita su nuovi tasti e sentire finalmente il suono che desideri.

 

viola

Ho sognato un cielo viola prima dell’alba.

Le stelle erano solo un pulviscolo e non si lasciavano intimidire dalla luna che si rifletteva sul lago.

Minuti, centimetri e briciole sono le unità che mi separano dall’alba. 

Il viola continua a dirmi di restare qui ancora un po’, di essere paziente.
Il viola è malinconico, scende fino al mio nucleo e non vuole più essere ignorato.
Il viola che dicono porti sfortuna agli artisti.
Il viola dei paramenti quaresimali.
Il viola colore, fiore, strumento.

Rimango, va bene.

 

 

 

 

 

 

 

 

johnny

Quando sei un po’ “semplice”, “speciale”, “diverso” la quarantena è ancora meno semplice da gestire.

Ti piaceva molto girare, incontrare le persone, ti conoscevano tutti.
Mi mancherà tanto vederti in giro, eri parte della città.
Te la giravi tutta a piedi, instancabilmente.

Ovunque tu sia, spero che ci sia il gelato.
E spero che tu possa girare liberamente come hai sempre fatto.

my Tokyo 2020

Nel 2019 ho vissuto alti e bassi, picchi incredibili e rovesci di fortuna paragonabili a naufragi. A giugno gestisco un progetto di successo a Los Angeles, a luglio vengo messa alla porta da un giorno all’altro per una riorganizzazione aziendale.

Kipling diceva che la persona saggia tratta successo e insuccesso allo stesso modo: come impostori.
Aveva ragione… perché l’unico modo per stare bene davvero è connettersi con il proprio io profondo e avere un dialogo interiore ricco di riguardo e gentilezza.

Il 2020 inizia con un progetto in Giappone, è incredibile come così lontano da casa trovi gentilezza, accoglienza e spazi straordinari. Amo le differenze, vedere il mondo e sorridere perché quando manifesti le tue buone intenzioni non importa che lingua parli, che aspetto hai e da che cultura vieni, perché sono cose che fanno parte solo del guscio e non possono dire chi sei veramente.

Ps: e comunque una bella cena scalzi ed una miso a colazione scaldano subito il cuore.

non abituiamoci

Non abituiamoci….

Ai tirchi
Agli arroganti
Al caffè non zuccherato
Al cibo schifoso
Alla maleducazione
Ai silenzi ostili
A sedie e divani scomodi

Cerchiamo…

Generosi
Umili
Caffè buono e dolce
Cibo genuino
Modi garbati
Confronto
Comfort

Così come quello che pensiamo ci plasma, anche ciò che cerchiamo nella nostra quotidianità di definisce.
Cedere, uniformarsi, tacere, abituarsi, assuefarsi… tutte parole molte pericolose quando il proprio standard cade paurosamente verso il basso.

 

un folletto alle medie

Anno 1996 o giù di lì…

Io non volevo venire a questo stupido evento della scuola. Non mi piacciono questi giochi di cui non capisco le regole.
Ma chi ha fatto le squadre? E chi li ha inventati?
Questo campo da calcio nel parco è enorme e inquietante. Ci hanno corso talmente tanto che non cresce più l’erba da secoli.
Appena piove è solo fango.

Ho l’impressione di essere l’unica a non divertirmi, eppure anche gli altri sembrano nervosi.
Che devo fare ora? Oddio devo correre prendere una palla e poi passarla all’ultimo dalla colonna. Santo cielo, mi sembra un ruba bandiera più teso e complicato.
Tocca a me, corro, ma quel toro… sta mica venendo verso di me?
è un ragazzo di seconda, è due volte me, mi travolge come se fossi trasparente, nel frontale cado a terra, lui prosegue come se non fosse successo nulla.
Ho male ovunque e la bocca sa di ferro, detesto fare gli scatti al freddo.  Sento solo una ragazza dire “Ma poverina.” E poi lui, l’unico lui che non volevo che mi vedesse cadere, rispondere con disprezzo: “Macché poverina!”. Due parole in un’esclamazione che sanno di “è solo imbranata e non mi fa pena se si fa male.”

Cosa successe dopo non lo ricordo di preciso, ricordo solo a cosa pensai mentre ero a terra “Io la soddisfazione di vedermi piangere non gli e la do.” E mai l’avrei data ai suoi simili.

 

 

allegria di naufragi

Ci sono estati surreali.
Estati senza tempo che mettono insieme eventi della mia vita come una collana di perle.

Mi succede qualcosa che mi sbalza fuori dalla realtà dove ero immersa: la coltellata, la caduta, il buio.

Eppure era buio solo perché avevo gli occhi chiusi…

Li riapro.

Il mondo mi sorrideva da fuori anche prima.
Allungo le mani, non c’è più nessun vetro, salto fuori e sorrido.
Divento una cosa sola con il blu dell’Egeo.
Corro tra le Alpi francesi e sento addosso il verde del bosco.

E poi gli abbracci.
Gli abbracci mi restituiscono compattezza, senso di me.
Sono amata.
Il veleno è andato a via.

E all’improvviso ricordo Ungaretti: il senso della vita sta nel riprendersi dallo scacco del naufragio.

Sono io.
Sono tornata a casa.

E dedico questo post a chi amo e che mi ama a sua volta perché so che leggendolo capirà che era comunque dentro a questa storia.